

Tempi Moderni.
Dedicata a chi fa finta di vivere nel passato.
Dedicata a chi fa finta di vivere nel passato.
S’adà àgnë lu mìssë ‘nghë la càrnë.
(Si deve ungere il muso con la carne).
Questo era per dire a chi cercava un aiuto che doveva portare qualcosa all’interessato.
Ogni volta che esco, in qualunque orario a parte gli istanti in cui i genitori accompagnano i figli a scuola o alle mamme che si fermano per brevi momenti in piccoli gruppetti a parlare dei problemi legati ai propri figli o nel vedere la migrazione mattutina di vecchi pazienti dai vari ambulatori medici verso la farmacia per fare le scorte dei medicinali. Si vede lo spopolamento, la desolazione del centro.In quei momenti mi riecheggia sempre nella mente una vecchia canzone del 1969 degli Equipe 84: “Tutta mia la città un deserto che conosco”.
Chi àlë, pòchë vàlë. Chi nnë àlë, nièndë vàlë. Chi jë štà vecènë, nni vàlë ‘nu quatrènë.
(Chi sbadiglia, poco vale. Chi non sbadiglia, niente vale. Chi gli sta vicino, non vale un quatrino).
Ritorno dalla fiera.
La callàrë.
In questi giorni ci è stata comunicata l’abbondante fermata per le prossime feste. Ho ripensato a questa poesia, la scrissi anni or sono, quando per noi turnisti sul 4-2 avvicendati la fermata natalizia spesso legata alle esigenze di produzione, era un optional.
E’ nato Gesù,
niente ferie così
non ci pensi più.
Senza trucco e senza inganno,
ci hanno fregato
anche quest’anno.
L’accordo è firmato,
è felice
il sindacato.
La 13° non spenderai,
perché tu
il ponte non farai.
Mentre gli altri a festeggiar,
zitto, zitto saluti
e te ne vai a lavorar.
Mangian lenticchie e panettoni,
quelli che si sentono
nostri padroni.
Tutti a ritirar lo scatolone,
con dentro sto bel
torrone.
Ma se a casa vuoi restare,
il dottore devi andare
a salutare.
Stefano Marchetta